Figli innamorati di genitori separati, [Yaoi] Edward x Alphonse, Pg-13

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CAT_IMG Posted on 28/2/2010, 21:55




Titolo: Figli innamorati di genitori separati
Link alla storia: StarSprinkles| EFP | StarSprinkles LJ
Personaggi ed eventuali Pairing: Edward x Alphonse
Rating: Pg-13
Genere: Romantico, Commedia
Avvertimenti: Incesto
Introduzione: A Raperonzolo, il suo principe chiese di buttare giù la sua lunga treccia per poter scavalcare l’alta torre e raggiungerla.
Io mi limitavo ad un paio di lenzuola annodate e calate da una stupida finestra al secondo piano.

Note dell'Autore: Scritta per il compleanno di un'amica \o/!


A Raperonzolo, il suo principe chiese di buttare giù la sua lunga treccia per poter scavalcare l’alta torre e raggiungerla.
Io mi limitavo ad un paio di lenzuola annodate e calate da una stupida finestra al secondo piano.


Una pietrolina rimbalzò con forza contro il vetro, e per un attimo Alphonse pensò che si sarebbe crepato per poi frantumarsi in mille pezzi e cadere sul pavimento – e poi chi lo avrebbe spiegato alla mamma?
Si alzò dalla scrivania, aprendo piano la finestra e guardando in basso.
“Ehi.” Sussurrò con le mani sul davanzale e la schiena inarcata in avanti, il sorriso che spontaneo nasceva sul suo visino tondo.
Edward agitò la mano, prima in saluto, poi per invitarlo a scendere. Al scosse la testa e strinse tra le dita il colletto del pigiama, agitandolo per metterlo bene in vista.
Lui rise sottovoce, lasciando scivolare la mano sul viso. “Ti do due minuti due.” sibilò, sollevando indice e medio verso l’alto.
Al annuì e scomparve.
Edward si appoggiò alla staccionata, nascosto dietro l’albero secolare del suo – ex – giardino. Ormai andava avanti da quasi un anno, e la cosa da un certo punto di vista poteva anche sembrare divertente, se non si teneva più di tanto in considerazione la barilata di ansia che ogni volta lui e Al dovevano sopportare quando facevano le loro scappatelle notturne.
Quello dei loro genitori non poteva certo essere annoverato tra i divorzi amichevoli – Edward rabbrividiva ogni volta che pensava alle discussioni notturne da cui doveva proteggere Alphonse; ormai non ricordava nemmeno più quando fossero cominciati, quegli stupidi litigi.
Fatto era che ora i due vivevano separati, e con loro anche lui e Al. Alphonse da minorenne ancora che era, era stato obbligato a restare con sua madre fino alla maggiore età, che ormai si avvicinava a passi da gigante; lui era andato con suo padre un po’ per disperazione, un po’ per pena – e poi era consapevole che la somiglianza con suo papà non avrebbe mai fatto bene alla mamma.
Gli era dispiaciuto andare via, ma una volta scoperto il trucco, vedersi non era più stato un grosso problema – perché sì, quando tuo figlio se ne va per stare con l’uomo che da amante è diventato bersaglio della tua ira, un po’ di odio passa anche a lui.
“Al, muoviti!” bisbigliò, e non ci volle poi troppo tempo prima di vedere la stoffa azzurra volare verso l’erba fresca. A passi lunghi si avvicinò sotto la finestra, prendendo il lembo di una delle lenzuola e tenendolo ben stretto mentre vedeva i piedi di Al aderire al muro e il suo corpo scivolare piano lungo la parete.
Gliele aveva comprate lui, quelle lenzuola. Di un cotone meraviglioso, pagate l’ira di dio per assicurarsi che mai e poi mai avrebbero tradito Al mentre saliva o scendeva per lui da quella stanza.
Quando i piedi del fratellino toccarono terra, Ed lo abbracciò e gli stampò un bacio sulla fronte, sorridendo. “Andiamo dai.”

Il solito parco, piccolo e noioso ma ben illuminato.
E vuoto.
Edward si sedette sulla panchina, la tinta verde che cadeva a pezzi sul prato umido e che scricchiolò appena quando accolse Al sulle sue gambe. “Quanto sei magro…” gli disse, abbracciando la sua vita ed affondando il naso nel petto, inebriandosi dell’odore buono della sua maglietta pulita – sicuramente l’aveva presa dal cassetto, profumava di lavanda, il solito deodorante per indumenti che la mamma infilava in ogni dove.
“Non preoccuparti, mangio…” rise, e una mano affondò nei suoi capelli, le labbra sulla sua fronte.
“Non so quanto debba fidarmi.”
Duro, dolce, un po’ apprensivo. Edward con Al era sempre stato così, alla fine; anche quando erano piccoli e lui per rabbia gli lanciava i cubi di gomma in testa, subito dopo i sensi di colpa gli mangiavano il pancino e correva dal fratello a dargli un bacio curatore dove il giocattolo lo aveva beccato.
Alphonse rise, la schiena incurvata e il naso contro quello di Ed. “Fidati. È tutto metabolismo.” Gli rubò un bacio a fior di labbra, poi lo strinse al collo e cominciò a canticchiare, lasciando le gambe libere di ciondolare nell’aria.
Andava avanti da quasi un anno.
Quando sua madre aveva buttato un bicchiere in terra dalla rabbia, Hohenheim aveva capito che non c’era più niente da fare, che starle accanto non avrebbe fatto altro che male a lei e ai loro figli. La richiesta di divorzio era arrivata improvvisa, ma in fondo nessuno poteva dire che fosse stata davvero una sorpresa assoluta. A nessuno stava bene, ma non essendoci altro da fare, Ed e il padre avevano fatto bagagli presto, e Alphonse si era presto trovato con la terra molle sotto i piedi, pronto ad esserne inghiottito.
Era stato in quel momento che Edward era scappato sotto la finestra della loro camera, lì che si era arrampicato su un ramo di quel grosso albero e aveva attirato la sua attenzione con una pietra sulla finestra, lì che Al lo aveva fatto entrare e aveva pianto tutte le lacrime che non aveva mai versato da quando la loro famiglia aveva iniziato irrimediabilmente a creparsi.
Ed era stato in quel momento che Edward lo aveva abbracciato forte, fortissimo, e gli aveva promesso che sarebbe andato tutto bene senza una reale motivazione – se lo diceva lui era così e basta, era qualcosa di constatato e immutabile, ormai. Alphonse era tutto ciò che aveva davvero importanza, dentro quel relitto familiare, per cui non poteva davvero permettere che gli succedesse qualcosa.
Le solite frasi che pensava quando la mente volava a lui.
“La mamma?” chiese in un bisbiglio.
“Dorme. Papà?”
“All’Half Moon con i colleghi. Ma anche fosse a casa non sarebbe un problema.” bofonchiò, tirando su il viso e baciandolo.
Per fortuna non erano stati loro la causa di tutto. Edward lo pensava costantemente, perché se così fosse stato, andare a salvarlo dalla torre maledetta non sarebbe stato così semplice.
Alphonse sapeva di succo d’arancia. Un vizio che non aveva mai perso, e che lui amava da morire. Aveva sempre trovato il gusto di quel frutto troppo acre per lui, ma in bocca ad Al il sapore prendeva un’altra piega, diventava più dolce e sopportabile.
“Come è andata la settimana?”
“Normale. Ma mi sei mancato un po’. Però Jo e Mari mi hanno fatto uscire questi giorni, quindi va bene.”
“Mi dispiace.” Un bacino sul collo per farsi perdonare.
“Macché mi dispiace, stupido.”
Gli prese la coda e gliela tirò appena. Edward si lamentò come il bambino che riusciva ancora ad essere quando gli era più comodo. “Sei tu che fai la vocetta depressa.”
“Mi diverto a ricevere le coccole, c’è qualcosa di male?”
“Sì, visto che puoi chiederle senza questi trucchetti da quattro soldi.”
Sbuffò sul suo collo, la pernacchia che rimbombò nel silenzio, e Al rise, stringendosi a lui e agitando di più le gambe. “Smettila, scemo.”
Lui ricambiò la risata, perdendosi nel suo sguardo liquido e caldo. Un altro bacio.
Un soffio di vento fece ciondolare i caschi poggiati sul posto libero, le foglie degli alberi strusciavano tra di loro creando un suono meraviglioso. Il sapore di Al si confondeva al suo e lo mandava nei matti, il suo profumo lo inebriava e gli apriva le porte del paradiso. Non gli importava che fosse suo fratello, in verità – aveva deciso di proteggerlo da ogni cosa brutta, men che da lui. Che poi, essendo così bello e meraviglioso, non poteva certo essere una minaccia per il suo fratellino.
Almeno, non la minaccia che intendeva lui.
Quando lo sentì sospirare uscì dalla sua bocca e lo baciò sulle labbra, poi sulla guancia, poi sul collo. E di nuovo ad affondare il viso nella sua maglietta calda, il calore che dalla terra si sollevava al cielo e li abbracciava.
“Al…”
“Sì?”
"Muoviti a diventare maggiorenne.”
Una richiesta, un ordine, una preghiera. Anche se non toccavano spesso l’argomento, Alphonse era ben consapevole di cosa quella frase volesse significare. Annuì, abbracciandogli la testa e riempiendola d’amore, labbra calde che lasciavano baci come i cioccolatini che Ed aveva usato per tracciare il percorso dalla porta della loro camera d’hotel al letto, il San Valentino di pochi mesi prima.
Scappa da quella casa, vai via, vieni a vivere con me.
“Manca poco, Ed, poco…”
Vieni a vivere con me.
C’erano state volte che avevano passato l’intera serata a parlare di come volessero la loro casa – Alphonse ricordava bene quella sera perché l’avevano tirata per le lunghe, e aveva paura che intanto sua madre avesse scoperto che teneva l’armadio chiuso a chiave per non fargli vedere tutte quelle lenzuola che lei non aveva mai comprato e che in quel momento stavano annodate al piede del letto e alla maniglia della finestra socchiusa.
Per fortuna Trisha aveva il sonno pesante.
“Tu muoviti lo stesso.”
Lo strinse forte, cercando disperatamente le sue labbra, e la sua mano scivolò sotto la maglietta bianca, le dita che correvano alla ricerca del suo petto liscio. Aveva fame, disperatamente fame, di lui e del suo amore, della voglia di goderselo in pace senza dover scappare e vedersi lontano dalle proprie case. Perché alla fine lui aveva bisogno di Al quanto Al aveva bisogno di lui; poteva farsi forte ai suoi occhi, ma senza lui non era poi chissà che. Lo sentì mugolare e gemette con lui, mentre la mano gli accarezzava i fianchi magri, la pelle bollente, il corpo che sognava di stringere ogni notte e per tutta la vita.
“Ti amo.” Gli disse tra gli ansiti – lui che non palesava mai il suo amore, lui che le parole sdolcinate le aveva sempre rifiutate, che quando gli scappavano la sua lingua si ritrovava violentata dalla manica della sua maglietta -, e Al si sciolse e lo abbracciò forte al collo, immensamente felice.
“Ti amo.” gli rispose, e Ed glielo disse ancora, prendendogli il viso tra le mani, rimbalzando sulle sue labbra ogni volta che quelle due parole scappavano dalla sua gola.
In fondo, l’inverno sarebbe giunto presto e lui per il compleanno gli avrebbe regalato una nuova vita, insieme a lui.
“Scappiamo…” ridacchiò Al, guardandolo negli occhi.
“Dove vuoi, Al, dove vuoi…”

Le loro code basse svolazzavano nel vento, l’aria pulita della notte che entrava nelle narici riempiendone i polmoni. Al si teneva stretto alla vita di Edward, mentre questo faceva le ultime curve prima di fermarsi a qualche metro da casa del fratellino. Eppure, non avrebbe mai voluto che si fermasse, quella notte come tutte le altre.
Avesse avuto da Dio la possibilità di avere un potere sovrannaturale, avrebbe avuto l’imbarazzo solo tra due scelte: fermare il tempo e mandarlo avanti velocemente. In ogni caso, entrambe lo avrebbero portato a stare con Edward senza preoccuparsi del mondo circostante.
Ma per lui Dio era morto il giorno in cui era morta la sua famiglia, per cui…
Edward si fermò, piantando il cavalletto a terra e invitando Alphonse a scendere dalla moto.
“Domani che fai?”
“Niente. Scuola e poi pomeriggio da Marissa a studiare. Che credi, ho una vita impegnativa io.”
Edward rise, scompigliandogli i capelli. Al sbuffò, lamentandosi perché avrebbe dovuto rifarsi la coda così, ma poi anche lui lo seguì e sorrise, la voce che si abbassava man mano che si avvicinava a casa. “Tu? ”
“Mattina al bar, a nutrire gli studenti scansa fatica come te. E poi non lo so. Qualcosa troverò.”
“Vieni da Marissa.”
Alphonse usò un tono che ammetteva poche repliche. Edward sorrise, chinandosi sulla sua guancia.
“D’accordo.” rispose docile, ben felice di avere l’occasione di rivederlo così presto. Fecero ancora pochi passi, prima di ritrovarsi di fronte alla staccionata, le lenzuola che ancora ciondolavano al vento. Alphonse le fissò appena dondolare, prima di buttare tutta l’aria che aveva nei polmoni e voltarsi verso Ed, braccia attorno al collo, il tallone sollevato dal marciapiede.
“Ti amo.”
“Anche io, Al. Più di ogni altra cosa al mondo.”
Un bacio, piccolo e veloce.
“Allora a domani.”
“Certo, a domani. Buonanotte.”
Al sorrise, annuendo, poi due salti e la staccionata fu superata, le mani che veloci si portavano avanti per afferrare il cotone azzurro. Edward rimase lì a guardarlo – domani gli avrebbe portato un po’ di cibo spazzatura, perché gli sembrava davvero troppo magrolino per i suoi gusti, e lui amava vederlo bello in carne, aveva più roba da palpare così.
Scosse la testa, dandosi dell’idiota. Lo guardò aprire la finestra e scivolare dentro la stanza, e tirò un sospiro di sollievo.
Casa loro sarebbe stata tutta al piano terra. Almeno così se uno dei due avesse voluto scappare non avrebbe rischiato di rompersi l’osso del collo ogni volta.
Aspettò di vederlo sbucare dalla finestra; lo vide agitare la mano con dolcezza e si sciolse, ricambiando il gesto. E quando sparì dietro la tenda, sollevò le spalle e si incamminò nuovamente verso la moto, pensando al letto e ai sogni che avrebbe accolto.
 
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BigBro__
CAT_IMG Posted on 28/2/2010, 22:39




Io ti amo eccetera eccetera, ma non è che potresti linkarla anche nel topic con la raccolta? ;3;
 
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N a c c h a n
CAT_IMG Posted on 1/3/2010, 10:30




Che scema, mi dimentico sempre scusami T_T
 
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Entropìa
CAT_IMG Posted on 14/3/2010, 11:32




Troppo bella! I due fratelli mi hanno fatto una dolcezza incredibile in questo racconto, e poi non so come tu faccia a trasmettere così bene tutte le emozioni che Edward prova, io sono riuscita quasi a immedesimarmi a lui. Quindi complimenti, sopratutto per l'idea della separazione e della casa *O*
 
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3 replies since 28/2/2010, 21:55   130 views
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